“Non ci saranno solo i 18 decreti necessari a rendere operativi i commissari straordinari (vedi «Il Sole 24 Ore» di ieri) a rischiare di allontanare l’obiettivo di rilancio degli investimenti con cui è partito il decreto Sblocca-cantieri.
Ieri il provvedimento ha avuto l’ ok finale della Camera (con 259 voti favorevoli 75 no e 45 astensioni) e ora viaggia verso la Gazzetta Ufficiale. Ma per tradurre in realtà le intenzioni di semplificazione contenute nel testo bisognerà approvare in tutto 27 provvedimenti attuativi. Che non riguardano esclusivamente gli appalti. Si va dalle linee guida del ministero dell’Ambiente sui rifiuti («end of waste») a quelle che dovrà scrivere il ministero delle Infrastrutture per calare sul campo le semplificazioni relative all’autorizzazione dei progetti a basso rischio in zona sismica.
Uno dei punti più critici, anche dal punto di vista politico, sarà sicuramente il decreto (o i decreti) chiamato a individuare la lista di opere da sottoporre alla frusta dei commissari. Ma se dal particolare (singole infrastrutture, pure prioritarie) si alza lo sguardo al generale (40mila stazioni appaltanti) si capisce senza troppo sforzo che la montagna più grande da scalare è il nuovo regolamento unico degli appalti, chiamato a fare giustizia dei tanti decreti attuativi previsti dal codice del 2016 (molti ancora da emanare) e delle linee guida di Raffaele Cantone. Sei mesi (180 giorni) è il tempo stimato per avere il nuovo regolamento vincolante.
Solo allora decadranno i provvedimenti attuativi in vigore, spazzando via l’impianto basato sulla «soft law» dell’Anac. Fino a a quel momento però si rischia di lasciare le amministrazioni in balìa di principi normativi privi di qualsiasi bussola operativa, perché, come ha sottolineato lo stesso Cantone pochi giorni fa in audizione alla Camera, i provvedimenti ancora in vigore fanno riferimento a un quadro normativo stravolto dal decreto sblocca cantieri e dunque alla prova dei fatti risulteranno inutili.
Rischiando di aggravare quella sindrome da «sciopero della firma» che invece si era detto di voler curare. A meno di correzioni, a questo destino andrà sicuramente incontro il tentativo di liberalizzare l’ appalto congiunto di progetto e lavori che – permettendo alle Pa di affidare ai costruttori il compito di ultimare i progetti – era pensato per accelerare l’apertura dei cantieri e dunque la spesa reale. Per un’evidente svista normativa il testo finale del decreto ha cancellato solo una delle clausole necessarie a mandare in soffitta i divieti. Nonostante l’ intenzione della maggioranza sia chiara – aprire le porte all’appalto integrato – è difficile che i funzionari pubblici decidano di percorre fino in fondo questa strada di fronte al rischio di finire di fronte a un Tar.
Un’altra grande novità del decreto arriva con Italia Infrastrutture Spa. Si tratta dell’ottava nascita nella composita galassia di strutture pubbliche che hanno un ruolo nella governance degli investimenti. E in cui si intrecciano organismi con compiti più chiari come il Dipartimento delle politiche economiche (Dipe) e altre con contorni operativi meno ben definiti, se non addirittura ancora da mettere in piedi come Strategia Italia o la Struttura di progettazione. Un’iniezione di semplificazione arriverà sicuramente per i piccoli comuni che potranno godere di maggiore libertà sia nella gestione delle gare (cade l’obbligo di ricorrere alle centrali di committenza) sia nell’assegnazione dei lavori pubblici di minore dimensione. Sotto i 150mila euro basteranno tre preventivi.
Da questa soglia al milione si dovranno chiamare più imprese, ma si potrà comunque procedere con le gare semplificate, limitandosi a valutare solo il prezzo offerto dai costruttori, senza dover nominare commissione di esperti in grado di giudicare le migliorie progettuali. Si spinge ancora più in avanti il tentativo di semplificare gli appalti per la messa in sicurezza delle scuole. Qui, con un emendamento al decreto Crescita, la soglia per usare la procedura negoziata, al posto della gara, viene fatta salire addirittura a 5,5 milioni. Un livello che mette in allarme gli stessi costruttori dell’Ance che, per voce del presidente Gabriele Buia, contestano l’ idea di risolvere il problema della manutenzione degli istituti «cercando scorciatoie normative che non fanno altro che creare, nel comparto dei lavori pubblici, zone d’ ombra sottratte alla concorrenza e alla trasparenza».”
Fonte: Il Sole 24 Ore pag.5 del 14/06/2019 – autore Mauro Salerno