Il divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici, finalizzato a evitare deroghe surrettizie all’ evidenza pubblica, è un principio generale dell’ ordinamento nazionale e comunitario che trova applicazione anche agli affidamenti posti in essere dalle società in house, che in quanto articolazioni organizzative della Pa sono anch’ esse tenute, nella scelta del contraente, all’ obbligo di esperire gare a evidenza pubblica.
La decisione Lo ha stabilito il Tar Veneto, con la sentenza n. 1364/2019 , a proposito di una controversia insorta tra una società in house per la gestione di servizi pubblici locali e una compagnia assicurativa. L’ assicurazione è stata condannata dai giudici a rifondere alla società i premi indebitamente pagati a seguito di un contratto di assicurazione stipulato nel 2009, recante la clausola negoziale che prevedeva, per l’ annualità successiva, il rinnovo tacito dei rapporti contrattuali scaduti. In ragione di questa clausola la società in house ha chiamato in giudizio la compagnia assicurativa deducendo la nullità del contratto per violazione di norme imperative e chiedendo alla controparte la ripetizione delle somme indebitamente versate.
I giudici hanno accolto il ricorso facendo leva sull’ argomentazione secondo cui le società in house si configurano quali organi dell’ amministrazione controllante e sono tenute al rispetto delle procedure a evidenza pubblica per l’ acquisto di lavori, servizi e forniture, non solo secondo un principio consolidato della giurisprudenza ma anche in base a quanto sancito, sul piano normativo, dall’ articolo 16, ultimo comma, del Dlgs 175/2016 (testo unico sulle società a partecipazione pubblica). Nel contesto delineato il collegio afferma che «il rinnovo tacito di un contratto pubblico è vietato dall’ ordinamento, risolvendosi in una forma di trattativa privata, al di fuori delle ipotesi tassative ammesse dalla normativa europea e nazionale».
La ratio del divieto Si tratta di un divieto a carattere imperativo la cui violazione si traduce, secondo l’ articolo 57, comma 7, del Dlgs 163/2006 applicabile al caso ratione temporis, nella nullità del contratto tacitamente rinnovato. Questo per evitare che una durata eccessiva dei rapporti in corso impedisca ad altri operatori economici di inserirsi nel mercato, in violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza e di libera circolazione delle persone e delle merci. Va notato che, sotto il profilo formale, i giudici hanno respinto l’ eccezione della parte convenuta di inammissibilità del ricorso per decadenza, dacché il termine di 180 giorni previsto dall’ articolo 31, comma 4, del codice del processo amministrativo si riferisce soltanto alla nullità dei provvedimenti amministrativi (articolo 21-septies della legge 241/1990), e non si estende anche alle cosiddette «nullità negoziali», che non sono soggette a termini di decadenza o di prescrizione.
La pronuncia è degna di interesse soprattutto perché ha equiparato a ogni effetto il rinnovo tacito del contratto a una forma illegittima di trattativa diretta. In questi frangenti, l’ indebita omissione della procedura di gara non solo ha esposto la stazione appaltante a un potenziale danno erariale costituito dalla differenza tra la spesa effettivamente sostenuta dall’ amministrazione e quella (minore) che essa avrebbe potuto ottenere assolvendo l’ obbligo della procedura concorsuale, ma comporta l’ ulteriore conseguenza della nullità contrattuale, con tutti gli effetti che questa fattispecie comporta nell’ ambito dei rapporti tra l’ ente e i terzi.
Quotidiano Enti Locali e PA (Sole 24 Ore) – MICHELE NICO